I pareri non vincolanti dell’ANAC possono essere immediatamente impugnati e, come tutti i provvedimenti lesivi, devono essere emanati entro i termini previsti dalla legge, da ritenersi sempre come perentori.
Consiglio di Stato, sez. V, n. 11200/2022
Il Consiglio di Stato è intervenuto con una innovativa sentenza che prevede la possibilità di impugnare immediatamente i pareri non vincolanti dell'ANAC, quando sono concretamente lesivi e, al contempo, stabilisce la natura sempre perentoria dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi tesi all’emanazione di provvedimenti a natura sanzionatoria.
Il giudizio attiene alla domanda di riforma di due sentenze del Tar Lazio, sede di Roma, con cui sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi presentati, rispettivamente, dalla società aggiudicataria dell’intervento “strada di collegamento Zara-Expo” e dal Comune di Milano - stazione appaltante - avverso una delibera ANAC resa in conclusione di un procedimento di vigilanza, avviato in ragione delle varianti in corso d’opera, resesi necessarie nell’esecuzione dell’appalto.
In particolare, l’ANAC concludeva il procedimento di vigilanza ritenendo sussistenti ‘gravi disfunzioni e irregolarità’ nell’esecuzione dell’appalto in relazione a diversi aspetti e, con la stessa delibera, invitava l’amministrazione municipale e la società a comunicare "le misure che intendono adottare alla luce dei rilievi dinanzi evidenziati", disponendo, altresì, la trasmissione dell’atto alla Procura regionale della Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica di Milano.
Il Tribunale di prime cure aveva condiviso le eccezioni presentate dall’ANAC, la quale ha ritenuto di aver esercitato attività di accertamento, consultiva e propositiva, che non costituirebbe manifestazione di volontà in grado di incidere sulla sfera giuridica del destinatario. L'ANAC sosteneva, infatti, di aver espresso delle valutazioni "che potrebbero eventualmente essere di impulso per l’esercizio da parte della stazione appaltante o di altre autorità dei propri poteri, ma che sono prive di autonoma consistenza lesiva".
Il TAR aveva infatti sostenuto che la delibera impugnata fosse “priva di contenuti precettivi nei confronti dei soggetti vigilati, poiché l’Autorità, pur avendo evidenziato una serie di criticità emerse nella progettazione e nell’esecuzione dell’appalto, non ha assunto alcuna determinazione lesiva nei confronti degli enti ricorrenti”.
Il Consiglio di Stato ha, invece, condiviso le motivazioni del Comune di Milano e della società, accogliendo gli appelli.
Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, "l’impugnabilità di un parere non vincolante dell’ANAC ... può essere ammissibile quando, riferendosi ad una fattispecie concreta, il parere sia fatto proprio dalla stazione appaltante, la quale, sulla base di esso, abbia assunto la relativa determinazione provvedimentale. Ne consegue che ... l’impugnazione del provvedimento è consentita solo unitamente al provvedimento conclusivo della stazione appaltante, che ne abbia fatto applicazione".
Invece, il massimo organo della giustizia amministrativa ha ritenuto che "l’impugnabilità di una delibera non vincolante dell’ANAC non è da escludersi in senso assoluto, atteso che tale provvedimento potrebbe assumere connotazione lesiva tutte le volte in cui, riferendosi alla fattispecie concreta, di fatto incide sulla sfera giuridica dei destinatari, essendo idonea ad arrecare un vulnus diretto ed immediato. Ne consegue che la sua ‘lesività’ non va valutata in astratto o sulla base dell’inquadramento dogmatico del provvedimento, dovendosi rilevare gli effetti conformativi che lo stesso produce, nell’immediato, nei confronti dei soggetti a cui è indirizzata".
Inoltre, secondo il Collegio "La regola della natura ordinaria dei termini procedimentali non espressamente qualificati come perentori non è applicabile ai procedimenti che conducono all’adozione di provvedimenti lesivi o sanzionatori".
La pronuncia ha senz’altro una portata innovativa giacché prevede che
i. in riferimento all’impugnabilità dei pareri non vincolanti: ribaltando l'orientamento finora prevalente, ma che già iniziava ad incrinarsi con la pronuncia che aveva ritenuto ammissibile l'impugnazione delle Linee Guida dell'ANAC (sentenza n. 5097/2020, che ha anche rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 177 del Codice dei Contratti, poi accolta dalla Consulta), sono immediatamente impugnabili i pareri non vincolanti dell’ANAC, ove questi abbiano un effetto immediatamente e direttamente lesivo nella sfera giuridica del destinatario, poiché aventi portata conformativa assumono, "il ruolo di canoni oggettivi a cui conformarsi ... conten[endo] vincoli conformativi puntuali alla successiva attività dei soggetti vigilati, in capo ai quali non residuano facoltà di modulazione quanto al contenuto e all’estensione ... pone[ndo] di fronte all’alternativa tra l’adeguarsi ai rilievi in essa contenuti o subirne le conseguenza a mezzo di successivi provvedimenti";
ii. in merito alla natura dei termini procedimentali: rispetto ai procedimenti che conducono a conseguenze pregiudizievoli, "i termini sono sempre perentori, a prescindere da un’espressa qualificazione normativa dei relativi provvedimenti, essendo la perentorietà imposta dal principio di effettività del diritto di difesa e dal principio di certezza dei rapporti giuridici”. Infatti, "L’esercizio di una potestà amministrativa che ha conseguenze pregiudizievoli, di qualsiasi natura, ed a prescindere da una espressa qualificazione in tal senso nella legge o nel regolamento che la preveda, non può restare esposta sine die all’inerzia dell’autorità preposta, essendo assimilabile all’esercizio di una attività sanzionatoria".
Peraltro, nella fattispecie oggetto di causa, "il rispetto dei termini di conclusione del procedimento avrebbe consentito di dare effettività all’esercizio dei poteri di vigilanza spettanti all’Autorità, in quanto la Delibera ... era fortemente condizionata dal rispetto della tempistica procedimentale, sicché, essendo intervenuta a lavori già terminati, non ha consentito neppure ai vigilati di tenere conto delle indicazioni e dei rilievi in essa contenuti, sicché il notevole ritardo ha determinato il fallimento del suo principale obiettivo, ossia quello di indirizzare l’attività dell’amministrazione".
Il Consiglio di Stato si è pronunciato sui margini di intervento migliorativo e di adeguamento alle esigenze della Stazione appaltante nella fase di esercizio del diritto di prelazione da parte del promotore nell'istituto del project financing. Il Collegio ha escluso la legittimità dell’esercizio del diritto di prelazione in assenza di una totale identità tra la proposta dell’aggiudicatario e quella del promotore.
Il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla possibilità di limitare il trasferimento all’estero di opere d’arte appartenenti a privati, qualora l’uscita di tali opere dal territorio italiano possa compromettere l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione. Nel caso di specie, il proprietario di un quadro di un famoso pittore tedesco aveva richiesto al Ministero della Cultura il rilascio dell’attestato di libera circolazione ed il Ministero aveva negato il rilascio di tale attestato alla luce di una istruttoria nella quale veniva evidenziata la rarità dell’opera straniera in questione e la forte attinenza di tale opera al territorio italiano. Invero, ai sensi del combinato disposto dell’art. 68 e dell’art. 10 del Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004), l’Amministrazione può negare il rilascio dell’attestato di libera circolazione di opere appartenenti a privati laddove queste presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione. Nel caso di specie, la valutazione svolta dall’Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento di diniego risultava adeguatamente motivata con riferimento ad una serie di criteri quali la rarità dell’opera, l’altissima qualità dell’opera, il legame dell’opera e del percorso artistico del pittore con il nostro Paese, ecc. A tale valutazione andava aggiunta la considerazione circa l’eccezionale rilevanza del bene ai fini della integrità e della completezza del patrimonio culturale della Nazione (art. 10 del Codice). Pertanto, poiché nella fattispecie ricorrevano entrambe queste circostanze, il Collegio ha ritenuto legittimo il divieto posto dall’Amministrazione sulla esportazione del bene culturale in questione.